Chiudere gli occhi e andare avanti. Oppure fermarsi, osservare intimamente e porsi questioni etiche per poi bloccarsi su di esse. Queste sono le due strade possibili, oltre le quali sembra non esserci altra via, quando si parla di Augmented Human.
L’Augmented Human (Umanità aumentata) è la versione antropica della realtà aumentata, un’esperienza connessa tra interazione fisica e digitale indirizzata a potenziare facoltà umane di tipo motorio, percettivo e cognitivo che (forse) cambierà i nostri comportamenti e appunto la nostra realtà fisica e pratica.
Si può già parlare di umanità aumentata quando si tratta, ad esempio, di un innesto di arto bionico in campo medico, trasportando di fatto nel vivere comune quel pensiero che ancora sembra far parte dell’universo Sci-Fi: un essere umano “potenziato”, fortificato da un dispositivo tecnologico che permette azioni altrimenti impraticabili.
Sono tanti gli ambiti in cui la vita dell’essere umano può essere assistita dalla tecnologia e in parte è già così ma allora perché fermarsi, accontentarsi, quando si può raggiungere un livello ancora più alto di agio nell’eventualità di dover pagare velocemente un acquisto, dover entrare in metro alla velocità della luce nella fretta del mattino o dover entrare in palestra senza dover frugare nella borsa per trovare il pass?
La fruizione delle tecnologie influisce sullo stile di vita, sulla comodità stessa della vita e sull’agilità di tutti i giorni quindi perché non creare qualcosa che possa rendere tutto sempre più facile e veloce? È quello che sta cercando di fare, e che in parte ha già avviato, DSruptive, la start-up ispanico-svedese, con il suo micro-subdermal chip. Tutte le quotidiane azioni cibernetiche semplificate da un unico banale gesto: un movimento leggiadro del polso o della mano passato sopra scanner che leggono il microchip impiantato sotto pelle, tramite il quale effettuare pagamenti, aprire porte, sbloccare dispositivi ecc…
DSruptive è nata nel mondo pre-pandemia e la sua mission è stata modificata con la trasmutazione che ha subìto sia il mondo che l’uomo stesso. Così si ritorna in campo medico anche con il chip sotto pelle, adesso presentato come sostituto del termometro: tramite il chip impiantato si potrà rilevare la temperatura corporea.
Il microchip impiantato è una piccolissima capsula iniettabile bio compatibile che al suo interno ha un’antenna per comunicazioni a corto raggio e un sensore di temperatura. È un dispositivo passivo, non trasmette nessuna informazione autonomamente e deve quindi essere attivato da uno smartphone che avvia la lettura della temperatura tramite un’app mobile. Probabilmente ispirata dalla pandemia questa nuova funzione sembra donare di un significato più profondo il progetto nato con lo scopo di creare un’umanità aumentata sulla base della comodità della vita.
Com’è facile immaginare, l’idea di un microchip sotto pelle ha scatenato tutto lo spettro possibile di reazioni umane, sottolineando differenti approcci a livelli variabili anche da paese a paese. In Svezia, per esempio, sono già migliaia i cittadini con impianto sottocutaneo, mentre in Italia l’argomento è ancora un tabù e niente di tutto quello che è stato immaginato nel freddo nord sembra essere sulla via della realizzazione.
Pare che nemmeno la domanda di autorizzazione al Ministero della Salute sia stata inoltrata ma, anche se fosse, è quasi impensabile che i processi burocratici necessari all’approvazione e l’opinione pubblica (basta dare uno sguardo ai commenti sulla pagina fb di Biohax Italia, nome del precedente progetto start-up) possano permettere la realizzazione di una simile innovazione.
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